Continuous Feedback per una nuova Employee Engagement: 4 best practice

A livello globale, solo il 2% delle imprese ritiene che le proprie strategie di performance management creino valore reale (fonte: Mercer). C’è quindi una forte esigenza di passare dalla modalità tradizionali, basate su review annuali o comunque periodiche, a un paradigma di continuous feedback, in cui lo scambio di informazioni tra il dipendente e l’azienda è costante, progressivo e smart, così da permettere un intervento proattivo e benefico a livello di engagement e produttività.  

Continuous feedback, perché? 

Una delle criticità delle review annuali/semestrali è sempre stata quella di guardare al passato e di valutare, con approccio retrospettivo, il raggiungimento o meno degli obiettivi dei singoli dipendenti e dei team di lavoro.  

Un paradigma di continuous feedback, invece, non solo fornisce informazioni puntuali e quotidiane con cui valutare l’engagement, il benessere e la produttività, ma permette di intercettare trend e di assecondarli se funzionali al corretto funzionamento dell’impresa, o di correggerli prima che causino problematiche di un certo spessore. Per questo, continuous feedback deve essere una componente del paradigma di lavoro e della pratica HR, non un’attività temporanea come le revisioni periodiche, che pur possono essere mantenute.  

I benefici del continuous feedback sono peraltro chiari: oltre a fornire, come anticipato, insight in tempo reale sul ‘funzionamento’ dell’azienda, crea un rapporto collaborativo tra i dipendenti e l’azienda, favorisce la loro crescita, riduce il turnover e migliora l’engagement, con tutte le note conseguenze positive in termini di produttività e redditività dell’impresa.  

La tecnologia che abilita il continuous feedback: 4 best practice 

Il principio stesso di continuous feedback è connesso a quello di digital workplace, ovvero di commistione tra esperienze fisiche e virtuali supportate da applicazioni che gestiscono i grandi pilastri del lavoro moderno: la gestione degli spazi, della comunicazione, dei processi e della produttività. In senso olistico, la digitalizzazione del lavoro è ciò che abilita un processo di feedback continuo che confluisce in KPI quantitativi e qualitativi che descrivono in modo puntuale l’esperienza di lavoro da parte del dipendente e del team e che possono essere usati dal management per migliorare le condizioni di lavoro. Si tratta in larga parte di dati che vengono forniti direttamente dalla persona, ma possono essere anche informazioni acquisite in forma automatica. Ecco, a titolo d’esempio, 4 best practice: 

  • Acquisire insight sulle attività degli employee 

La digitalizzazione dell’ambiente di lavoro permette di evidenziare una serie di macro-indicatori sulle attività e le abitudini degli employee, che vanno gestite nel rigoroso rispetto della privacy. Da qui possono emergere situazioni da correggere e anche le loro cause: per esempio, si potrebbe constatare un certo isolamento di una divisione rispetto alle altre, oppure le poche occasioni di incontro tra persone che lavorano in modalità ibrida (problema facilmente risolvibile investendo in community), oppure ancora una quantità insufficiente di relazioni tra colleghi, altro aspetto fondamentale che dipende dalla struttura dei processi, dalla cultura aziendale, dall’organizzazione e anche dalla tecnologia disponibile, elemento cardine dei nuovi paradigmi di lavoro.  

  • Valutare l’occupazione degli spazi e i percorsi 

Anche in questo caso si tratta di una raccolta di dati automatizzata in funzione dell’occupancy dei locali (quindi tramite IoT) e dei percorsi effettuati dagli employee. Da essa scaturiscono insight di inestimabile valore sia per l’HR, sia per il facility manager, che può rivedere l’organizzazione degli spazi per evitare inefficienze, portare innovazione e anche sviluppare nuovi modelli di business (es, adibire aree specifiche a coworking).  

  • Survey su spazi, servizi e tecnologie 

Le survey restano uno strumento di eccezionale valore per massimizzare l’engagement e la produttività individuale e di team. Nel mondo digitale, le occasioni sono pressoché infinite: per esempio, è possibile interrogare le persone ogni qual volta effettuano il check-out da una sala riunioni, così da valutare non solo una generica “qualità dell’esperienza” ma anche comprendere se gli elementi ambientali (temperatura, pulizia…) e quelli tecnologici (sistemi di videoconferenza, audio ambientale…) sono tali da favorire l’engagement o, all’estremo opposto, complicano l’esperienza lavorativa.  

  • Survey sull’employee experience 

Le survey sull’employee experience, che si riflette sul benessere e lo stato emotivo del dipendente, sono centrali per costruire una workforce sana e desiderosa di contribuire alla mission aziendale. Possono essere inoltrate periodicamente oppure in momenti specifici, e le loro rilevazioni confluiscono in sistemi di monitoraggio delle performance che misurano il wellness, la soddisfazione, l’engagement, l’attaccamento ai valori, la cultura e molto altro. Il tutto in modo continuo e poco invasivo, favorito dall’impiego di app mobile dalla user experience tipicamente consumer.